Il “saggio d’occidente” che aprì al mondo i misteri della Cina

Macerata 1552 – Pechino 1610

Quando, nel 1982, si celebrò il quarto centenario del suo arrivo in Cina, Giovanni Paolo II parlò del gesuita Matteo Ricci come un padre della Chiesa, “prezioso anello di congiunzione tra occidente e oriente, tra cultura europea del rinscimento e cultura cinese”.

Umile nel voler aiutare il popolo cinese portandogli i fondamenti della cultura e del sapere occidentale, ma senza prevaricare la storia, la cultura, la tradizione locale. E’ questa la grandezza di padre Matteo Ricci, colui che di fatto unì Cina ed occidente, il fondatore della moderna sinologia.

Nacque a Macerata in una prolifica e ricca famiglia nel 1552. Studiò dai Gesuiti della sua città, poi, quale primogenito, fu mandato dal padre a Roma, per studiare legge ed essere avviato alla carriera pubblica.

Nella capitale Matteo si appassionò, fino alla grande competenza, agli studi delle scienze, dell’astronomia e della geografia in particolare, grazie anche alla portentosa memoria che aveva.

Nel 1571 entrò nella Compagnia del Gesù e, sei anni dopo, si imbarcò verso l’India, dove completò gli studi religiosi per insegnare nel Collegio dei Gesuiti.

Lasciò l’India nel 1582 per raggiungere la giovane missione di Macao. L’eccezionale cultura e la prodigiosa memoria gli consentirono di imparare alla perfezione il cinese, cosa che gli permise di avvicinarsi sempre di più a quel nuovo mondo, così diverso dall’occidente.

“Farsi cinese con i cinesi” fu il suo motto, che lo integrò perfettamente in quella società, della quale rispettava la cultura ed anche la religione (noto il suo rispetto per il confucianesimo, che egli considerava come una dottrina morale), tanto da adeguarsi anche al modo di vivere e di vestire, cosa questa che gli procurò fastidi e critiche soprattutto all’interno del suo Ordine.

In Cina introdusse matematica e geometria occidentali, consegnò alla società culturale le acquisizioni rinsscimentali in campo cartografico ed astronomico, per contro studiò accuratamente usi, costumi, società cinesi, tanto da potersi considerare come il più grande sinologo di ogni tempo.

Non mancarono i risultati anche in campo religioso. A lui solo, accolto per la sua umiltà quale studioso di corte dopo 21 anni di attività nel paese, riuscì di insediare una missione anche a Pechino.

L’imperatore accolse “Li Madou” (il “saggio d’occidente”, come fu ribattezzato in Cina) con rispetto, lo aveva preceduto la fama di uomo saggio e mite, il suo zelo nel rispettare usi e costumi locali, la sua disponibilità a mettere al servizio della comunità il suo sapere.

Ammirato dagli eruditi di corte, ebbe il privilegio di essere nominato “mandarino” e di vivere a spese dello stato.

Quando morì, nel 1610, Pechino lo pianse, e gli concesse un onore mai concesso ad uno straniero, di essere seppellito nella capitale, dopo che era stato proclamato il lutto generale. Per onorarne la memoria, l’imperatore riconobbe il culto cristiano, e fece erigere una stele sulla sua tomba, luogo per tre volte è stato ricostruito, anche recentemente, dopo la rivoluzione culturale: testimonianza dell’attualità del messaggio del grande missionario maceratese, ponte fra due culture, uomo di una modernità straordinaria, la cui opera è enorme rispetto alla sua fama.

Giovanni Martinelli

Informazioni aggiuntive

  • citta: MACERATA

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