Treia è un comune di 9700 abitanti della provincia di Macerata. Sorge su un colle a 342 metri s.l.m. lungo l’Alta Valle del Potenza. Fa parte della Comunità Montana delle Alte Valli del Potenza e dell’Esino.

Trea

Il territorio treiese fu abitato dai Piceni prima che i Romani fondassero la città di Trea, che fu inizialmente una colonia, iscritta nella tribù Velina. In seguito fu un municipio retto da un collegio di duoviri. Trea, cinta da mura e provvista di un foro, di una basilica e di un tempio alla Victoria, sorgeva in pianura, nella contrada del SS. Crocifisso, in posizione strategica lungo una diramazione della Via Flaminia che da Nocera si dirigeva verso Osimo e Ancona. Un Serapeum è stato identificato, grazie al ritrovamento di una testa di Serapide e di statuette di culto egizie, sotto la stessa chiesa del Crocifisso. Questo culto viene attribuito alla presenza in città nel I e II sec. d.C. di personaggi che avevano ricoperto alte funzioni militari e civili in Egitto.

Numerose sono le lapidi funerarie ritrovate nell’area archeologica e oggi conservate nel Museo Civico allestito nel convento di S. Francesco. La raccolta archeologica Teloni, con reperti di varia  e ignota provenienza, è esposta invece nel settecentesco palazzo Valadier.  In località Schito è visibile un monumento funerario in parte inglobato in una casa colonica e riutilizzato come edicola.

Trea fu distrutta dai Goti di Alarico nel 404 d.C., ma fu ricostruita e sopravvisse nelle tempestose vicende che segnarono la fine dell’impero romano. L’invasione longobarda provocò distruzioni, ma non l’estinzione dell’antica città romana, la quale continuò a vivere con lo stesso nome, come attestano diverse monete e resti di edifici del VII secolo ritrovati. Fu nell’VIII e soprattutto nel IX secolo che si verificò la quasi totale estinzione di Trea, causata dalle incursioni prima dei Saraceni e poi degli Ungari. Sulle rovine dell’antica città fu costruita una pieve dedicata a S. Maria (nel luogo in cui sorge oggi il santuario del Crocifisso), che gradualmente acquisì il controllo di numerose chiese e delle relative rendite.

Montecchio

La popolazione scampata alle invasioni barbariche e alle incursioni saracene e ungare trovò rifugio su tre alti colli, distanti appena due chilometri da Trea, che ospitavano già da secoli piccoli nuclei abitati. Su queste cime collinari assai ravvicinate sorsero i castelli dell’Onglavina, dell’Elce e del Cassero, la cui popolazione all’inizio del X secolo superava già quello dell’antica e rovinata città.

Nell’XI secolo i centri abitati che circondavano i castelli si unirono assumendo il nome di Montecchio, da Monticulum o Monteclum, cioè “piccolo monte”. Non per caso lo stemma comunale che sarebbe stato adottato in seguito è formato da tre colli sormontanti da due fiori. È probabilmente in questo secolo che si forma e si rafforza il Comune, retto dalla metà del XII secolo fino al 1219 da due (o più) consoli e da due consigli, generale e di credenza. Il comune crebbe, impadronendosi di vari castelli, tra cui quelli di S. Lorenzo e di Pitino, lungamente contesi ai Sanseverinati. Gradualmente furono edificate le mura, ancor oggi visibili e le rocche turrite. Al suo interno si organizzarono numerose corporazioni, che comprendevano calzolai, muratori, legnaioli, mercanti, notai, sarti, fornaciai e vasai. Dopo la metà del Duecento Montecchio sostituì i consoli con un podestà.

Per quanto riguarda le vicende religiose, è noto che da tempi anteriori al Mille disponevano di terre in territorio treiese tre grandi abbazie benedettine: quella del Monocchia, quella di S. Maria in Selva non lontana dalla distrutta città di Helvia Recina e quella di Rambona, che si trovava presso Montemilone (Pollenza). All’inizio del Trecento fu edificata la chiesa di S. Francesco, che testimonia l’esistenza a Montecchio di una comunità francescana, la quale annoverava tra i frati il beato Pietro Marchionni (1215-1304), noto predicatore. Per un certo tempo egli era stato tra gli eremiti del convento di Valcerasa (località a tre chilometri da Treia) legati ai Clareni, un ordine di strettissima osservanza francescana. Da essi avrebbe avuto origine l’eresia dei Fraticelli, che la Chiesa perseguì fino al XV secolo.

Nel contesto delle lotte tra Papato e Impero si distinguono tre assedi di Montecchio. Il primo è quello di re Enzo, figlio di Federico II, che nell’ottobre-novembre 1239 non riuscì a impadronirsi della cittadina. Il secondo è l’assedio di Corrado d’Antiochia (uno dei nipoti di Federico II), che nel 1263 terminò con l’inaspettata cattura di Corrado da parte dei difensori di Montecchio nei pressi della porta di Vallesacco. Il terzo fu quello di Galvano Lancia, inviato da Manfredi a liberare l’illustre prigioniero. Neppure questa volta le truppe imperiali riuscirono nel loro intento, nonostante le devastazioni provocate nel territorio montecchiese. Corrado d’Antiochia riuscì tuttavia a fuggire dalla sua prigionia forse con la complicità del podestà Baglioni, il quale a sua volta si sarebbe dato alla fuga.

Nella seconda metà del Trecento, dopo la devastante epidemia di peste, le Costituzioni dell’Albornoz inclusero Montecchio tra le terrae mediocres, cioè i comuni di medie dimensioni della Marca. Nei decenni di fine Trecento la cittadina subì gravi devastazioni da diversi capitani di ventura che passarono sul suo territorio. In questo periodo Montecchio entrò nell’orbita dei Da Varano di Camerino. Seguì, tra 1433 e il 1444,  la soggezione a Francesco Sforza, che esercitò tale dominio tramite il fratello Leone. Nel Quattrocento due papi si trattennero nel monastero di Valcerasa: il primo fu Nicolò V, in pellegrinaggio verso la S. Casa di Loreto nel 1449, il secondo fu Pio II, diretto ad Ancona nel 1464 per dirigervi una crociata contro i Turchi. Alla fine del Quattrocento le rendite dell’antica pieve di S. Maria furono trasferite alla chiesa di S. Giovanni entro le mura. Nel 1447 Montecchio fu posta sotto l’autorità di Alfonso D' Aragona ma, ritornata sotto il governo diretto dalla Chiesa, fu ceduta per un periodo al cardinale Cesi.

Un grande montecchiese vissuto tra Cinque e Seicento è il frate minore Ilario Altobelli, (1560-1637), matematico e astronomo, oltre che noto predicatore e teologo. Fu in rapporti di amicizia con Galilei, del quale sostenne le tesi scientifiche. Scoprì i satelliti di Saturno e mise a punto un sistema di proiezione ortografica della sfera celeste.

a cura di Pier Luigi Cavalieri

Informazioni aggiuntive

  • citta: TREIA
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