Muore Cagliostro a San Leo

26 agosto 1795

Quando Dante nella Divina Commedia immortalò S. Leo (Purgatorio 4,25) non poteva certo pensare che la sua rocca avrebbe avuto in seguito un potenziamento di fama, dovuto a Cagliostro che qui morì prigioniero, relegato e scomunicato, il 26 agosto 1795. Leggendo l’atto di morte compilato del parroco Luigi Marini emerge il profilo quasi scultoreo dell’Azzeccagarbugli del tempo.

“Giuseppe Balsamo conosciuto più comunemente come Conte di Cagliostro, benché cristiano battezzato, professò dottrine irreligiose; fu eretico, famigerato e propagatore in Europa degli empi dogmi della massoneria egiziana… dopo aver corso molti pericoli dai quali grazie alla sua astuzia uscì indenne, alla fine fu relegato al carcere perpetuo nella rocca di questa città in esecuzione di una sentenza della Santa Inquisizione”…

Veramente era stato condannato alla pena di morte ma il papa aveva commutato tale pena nel carcere a vita.

“Dopo aver sopportato le sofferenze della cattività per quattro anni, quattro mesi e cinque giorni (così prosegue l’atto), caparbiamente e pervicacemente, senza aver dato nessun segno di ravvedimento, muore senza compianto (illamentatus moritur) all’età di cinquantadue anni, due mesi, ventotto giorni”.

“Nascitur infelix, prosegue l’atto, vixit infelicior, obit infelicissimus die 26 augusti” cioè: nasce infelice, più infelice visse, infelicissimo morì il 26 agosto del 1795 alle ore 3 dopo mezzanotte…

“In questo stesso giorno furono indette pubbliche preghiere semmai il misericordioso Iddio avesse voluto rivolgere lo sguardo a questa misera creatura delle sue mani”.

Questo avvenimento verificatosi proprio nella Rocca di San Leo ebbe risonanza europea, perché Cagliostro era conosciuto in moltissime nazioni.

Era stato in tutta Europa sfruttando le sperstizioni dei contemporanei, spacciandosi per alchimista, guaritore, riformatore massonico.

Prediceva anche l’avvenire e pretendeva di risuscitare i morti; fu imprigionato alla Bastiglia e poi (1786) espulso dalla Francia.

“A lui eretico scomunicato impenitente si nega la sepoltura ecclesiastica. Il cadavere viene tumulato sull’estremo ciglio del monte… il giorno 28 luglio alle ore 23”.

Come si vede, a notte fonda, come avvenne per Manfredi anch’egli colpito da scomunica.

“Le ossa del corpo mio sariano ancora… or le bagna la pioggia e muove il vento/di fuor del Regno… dov’ei le trasmutò a lume spento” (Purgatorio III, 130).

Oggi, a distanza di secoli, si ricorda ancora Cagliostro, la Rocca di San Leo e quel 26 agosto 1795 data della morte avvenuta nelle Marche del più famoso mistificatore che ispirò poeti e romanzieri tra cui Goethe (Il Gran Copto) e Alessandro Dumas (Joseph Balsamo).

 

Gabriele Nepi

 

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