207 a.C. la battaglia del Metauro

In terra marchigiana si combatté, nel 207 a.C., una delle grandi battaglie che avrebbero decisero il corso della storia d’Italia e del Mediterraneo, la battaglia del Metauro. Lo scontro avvenne, nel contesto della Seconda guerra punica, tra gli eserciti di Roma e di Cartagine, quest’ultimo comandato da Asdrubale Barca, fratello di Annibale, giunto in Italia a prestargli aiuto, in un luogo che resta ancor oggi avvolto nel mistero. Conosciamo queste vicende dai resoconti, non sempre concordanti, degli storici antichi Tito Livio e Polibio.

Il contesto

Già sconfitta nella Prima guerra punica terminata nel 241 a.C., Cartagine, che poteva ancora contare sul controllo di buona parte della costa nordafricana e del versante mediterraneo della Spagna, tentò la rivincita su Roma attraverso la straordinaria impresa di Annibale, il quale varcò nel 218 a.C. le Alpi alla testa di un grande esercito che poteva contare anche su alcuni elefanti. Annibale riuscì ad infliggere tre gravi sconfitte alle armate romane che tentavano di fermarlo alla Trebbia, al lago Trasimeno e a Canne, ma non volle attaccare direttamente l’Urbe, preferendo percorrere la Penisola verso sud e indebolire Roma sottraendole il controllo delle città alleate dell’Italia meridionale. Tuttavia, dopo alcuni anni di permanenza in Italia da parte di Annibale, Roma riuscì a riorganizzare le sue forze restringendo il territorio controllato dal generale cartaginese e mettendolo in difficoltà dal punto di vista militare. È a questo punto che il fratello Asdrubale giunse dalla Spagna in suo aiuto compiendo il suo stesso tragitto, vale a dire valicando i Pirenei e le Alpi, alla testa di un esercito che comprendeva soldati Numidi e Iberici, e, dopo il passaggio in Italia, anche Liguri e Galli Cisalpini. Queste ultime popolazioni favorirono il suo passaggio perché non erano ancora totalmente assoggettate a Roma. Sapendo che Annibale si trovava allora in Puglia, Asdrubale si diresse verso l’Adriatico, occupando Rimini, con l’intento di riunire le proprie forze a quelle del fratello, in vista di un attacco congiunto a Roma. Il Senato era ben consapevole delle intenzioni dei cartaginesi, del gravissimo pericolo che correva l’Urbe e della necessità di scongiurare la possibile congiunzione dei due eserciti. Uno dei consoli, Claudio Nerone, fu così inviato a fronteggiare Annibale in Puglia, mentre l’altro, Marco Livio Salinatore, si diresse verso Senigallia per bloccare l’avanzata di Asdrubale. 

Lo scontro presso il Metauro

A Senigallia Marco Livio, forte di un esercito di 6000 fanti e 1000 cavalieri, trovò il pretore Porcio Licinio con le sue truppe, i quali, provenienti da Rimini, avevano svolto una valida azione di rallentamento dell’avanzata di Asdrubale attaccandolo dalle alture prospicienti la costa. Il comandante cartaginese con il suo esercito era accampato a breve distanza: lo scontro armato era perciò inevitabile e imminente. Le forze romane erano preponderanti perché nel frattempo era giunto dalla Puglia l’altro console, Claudio Nerone, con i suoi cavalieri e fanti, i quali vennero ospitati nelle stesse tende dei militi di Salinatore per ingannare Asdrubale sulla reale entità dell’esercito romano.

Tito Livio riferisce di un messaggio di Asdrubale al fratello, intercettato dai Romani, nel quale egli manifestava l’intenzione di attenderlo in Umbria. Perciò si è pensato che Asdrubale intendesse raggiungere Fano per imboccare la Via Flaminia, valicare l’Appennino e dirigersi verso l’Urbe. Tuttavia Livio non menziona tale percorso (che sarebbe stato il più logico) e ciò ha dato vita, tra storici e archeologi, a diverse ipotesi. Secondo Nereo Alfieri Asdrubale non si sarebbe avvicinato né a Senigallia né a Fano, piegando verso l’interno già a Rimini e dirigendosi a Fermignano attraverso una strada che passava per Montefiore, Tavoleto e Urbino. La battaglia tra Romani e Cartaginesi avrebbe avuto luogo perciò in territorio di Fermignano. Altri studiosi (ad esempio Aldo Deli) hanno obiettato che Asdrubale avrebbe giudicato rischioso il valico in Umbria attraverso il passo dello Scheggia, considerato che poco a nord, ad Arezzo, erano acquartierate le legioni comandate da Varrone, e che avrebbe scelto invece di scendere verso Cagli e la valle del Cesano, nel cui ultimo tratto si trovava l’accampamento dei Romani, per affrontarli. Ciò spiegherebbe perché egli cercò di far attraversare il Metauro al suo esercito e, non trovando un guado adatto anche al passaggio dei dieci elefanti al suo seguito lungo un tratto del fiume tortuoso e dagli argini alti, abbia perso tempo prezioso prestandosi ai primi attacchi e alle incursioni dei Romani nel frattempo sopraggiunti. 

La battaglia, in una zona prossima ad una delle due sponde del fiume, di cui sappiamo solo che era accidentata e caratterizzata da alture, si accese il mattino del 22 giugno. Dopo un primo momento in cui i Cartaginesi parvero avere la meglio, i Romani riuscirono a prendere il controllo della situazione soprattutto grazie a una manovra di Claudio Nerone, che riuscì ad aggirare e attaccare i nemici sul loro fianco destro, mentre gli elefanti, costretti a muoversi su un terreno non adatto a loro, seminavano la confusione anche tra gli stessi Cartaginesi. A mezzogiorno l’esito della battaglia era già deciso a favore dei Romani. Asdrubale volle per sé una morte eroica spronando il suo cavallo e gettandosi in mezzo a una coorte romana. Livio e Polibio concordano nel riferire un gran numero di morti, il primo descrive la battaglia come un’“atroce carneficina”. La particolare virulenza del combattimento si può comprendere se si pensa che la posta in gioco era altissima: la sopravvivenza stessa di una delle due civiltà che si contendevano l’egemonia nel Mediterraneo.

I luoghi

L’individuazione dell’esatto luogo della battaglia chiarirebbe, con gli strumenti dell’archeologia, gli aspetti oscuri di questo epico scontro, tuttavia le varie ipotesi avanzate finora non hanno dato frutti. Oltre alla menzionata area di Fermignano, sono stati proposti come possibili terreni di battaglia le Balze di Ferriano S. Angelo (Fano), la zona di Montebello e gli Sterpeti di Montefelcino. 

Tuttavia l’ipotesi che gode oggi di maggior credito sembra essere quella avanzata negli anni Ottanta-Novanta da Baldelli e A. Deli, i quali hanno situato il luogo della battaglia sulla riva destra del Metauro in prossimità dei due meandri che il fiume forma tra Borgaccio-S. Oliviero e Tavernelle-Montebello, località appartenenti ai comuni denominati (dal 1° gennaio di quest’anno) Colli al Metauro e Terre Roveresche. Quest’area è infatti quella più prossima al mare che corrisponde maggiormente alle descrizioni di Tito Livio e Polibio. 

Pur nell’incertezza dell’ubicazione, si tiene annualmente in giugno nel Parco Fluviale degli Sterpeti di Montefelcino la rievocazione storica della battaglia del Metauro intitolata Ad Pugnam Parati, organizzata dal gruppo Europantiqua e dall’associazione Decima Legio.

 

a cura di Pier Luigi Cavalieri

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